La fuga di cervelli: i nostri migranti

Il fenomeno che sono in procinto di descrivere, in realtà non necessiterebbe di una vera e propria descrizione, visto che tutti ormai ne siamo a conoscenza: ricercatori e scienziati italiani, le nostre “eccellenze” che non riescono a farsi spazio nel Belpaese e che, invece, vengono accolti a braccia aperte nelle altre Nazioni perché, oggettivamente, di una cultura sconfinata. Le cause per cui avviene quella che viene chiamata “fuga di cervelli” sono innumerevoli e spesso concatenate fra loro e quindi anche difficili da spiegare e interpretare; proviamo a farne, per quanto possa essere superficiale, un quadro. La causa principale, e la più conosciuta, è la mancanza di fondi e investimenti nel settore della ricerca italiana: basandoci sui dati forniti dall’ISTAT, l’Italia ha investito, nel 2015, in ricerca e sviluppo 20,5 miliardi di euro che, possono sembrare tanti, ma costituiscono appena l’1,26% del PIL. Per confronto gli altri “grandi” d’Europa investono in percentuale anche il doppio: gli uomini di sua maestà Elisabetta investono l’1,80%, i nostri cugini transalpini più del 2,25% mentre in Germania siamo quasi al 2,80%. Eppure i nostri ricercatori sono tra i migliori al mondo ed esistono numerosi studi che possono provarlo: ultimo di questi tempi, il rapporto sui vincitori dei fondi europei per la ricerca, risalente a metà febbraio scorso: i progetti italiani premiati sono stati 30, non pochi, terzi in numero, dopo Germania e Regno Unito, a pari merito con la Francia. Eppure, altro dato molto significativo, è questo: 17 su 30 ricercatori che hanno vinto i fondi li spenderanno all’estero: sono più della metà. Certo, come suggerisce qualcuno, questo dato non è così significativo, in quanto molti ricercatori possono essere “costretti” a usare questi fondi per portare avanti progetti legati a laboratori speciali, presenti in numero esiguo e solo in pochi Paesi: un esempio per tutti: se vuoi finanziare un progetto di ricerca nel campo della fisica delle particelle, questo lo devi fare solo ed esclusivamente al CERN di Ginevra, in quanto è l’unico acceleratore di particelle al mondo che ti permette di fare esperimenti che richiedono una certa precisione; ma non dobbiamo essere così ottimisti… i progetti portati avanti da ricercatori che necessitano di laboratori estremamente specializzati come il CERN citato prima, raramente hanno bisogno di vincere un concorso per aggiudicarsi finanziamenti dall’European Research Council, anzi quasi mai. La verità è che i nostri ricercatori non vengono apprezzati abbastanza, e con apprezzati intendo ovviamente finanziati, e quindi preferiscono andare via, all’estero dove, invece, l’”apprezzamento” che necessitano gli viene volentieri concesso. E l’Italia perde, su tutti i fronti. Emblematica è la forte critica mossa da una ricercatrice dei 17 sopra citati che, aggiudicatasi 2 milioni di euro, ha deciso di spenderli in Olanda, contro il Ministro Giannini che si era congratulata e, neanche troppo implicitamente, “vantata” dell’eccellenza italiana nel campo scientifico; sarcasticamente ha affermato su Facebook: “poiché l’Italia non ci ha accolti (noi ricercatori, ndr) e incoraggiati, lasciandoci andare via, evidentemente non ha bisogno di noi”. E invece l’Italia ha bisogno di loro, incredibilmente bisogno. Eppure non fa nulla per loro, non concede fondi, non investe su di loro… In realtà non li lascia nemmeno vivere in un ambiente di legalità… Numerosi sono i casi in cui i pochi investimenti non vengono concessi ai più meritevoli, ma a quelli con più “contatti”… Non che questo non avvenga anche all’estero, ma là, essendo maggiori i fondi, in percentuale ciò avviene meno.

È impossibile tornare indietro? No, non lo è, per fortuna. Non è mai troppo tardi per investire sulla ricerca e, anche iniziare con 10-15 milioni di più l’anno è un buon inizio… Il problema è che noi in Italia siamo poco lungimiranti: se vogliamo fare un progetto, vogliamo che questo frutti in pochi anni, cinque al massimo; non siamo in grado di immaginare un progetto che preveda un costante investimento che duri 20 anni… questi sarebbero i progetti che potrebbero veramente mettere l’Italia sulla strada della ribalta. Ora sembra che il nostro caro Renzi si stia timidamente comportando bene a questo riguardo, anche se è probabile, molto probabile, che lo faccia per motivi di interessi, anche elettorali: il famoso progetto dell’IIT, lo Human Technopole,  per il dopo-Expo prevede effettivamente un serio investimento per 10 anni; tralasciando il fatto che l’IIT non è una agenzia governativa, l’iniziativa costituisce effettivamente un programma degno di nota. Il problema è che questi investimenti sono sempre troppo concentrati su uno-due progetti e non sono più diluiti su più progetti diversi. Ma in fondo, non ci resta che stare a vedere.

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